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NTC, modelli di pericolosità sismica e sicurezza degli edifici

Riporto alcuni stralci dell’intervista di Massimiliano Stucchi al prof. Antonio Occhiuzzi relativamente ai modelli di pericolosità sismica e sicurezza degli edifici. La versione estesa dell’intervista è disponibile a questo link.

Caro Antonio, tempo fa avevi commentato un mio post di risposta a un articolo dell’Espresso in cui veniva riproposta, come avviene periodicamente, la questione del superamento dei valori di progetto in occasione dei terremoti recenti e, di conseguenza, la presunta fallacia dei modelli di pericolosità e delle normative basate su di essi, quasi che entrambi fossero responsabili dei crolli e delle vittime. Poichè in questa problematica si intrecciano aspetti sismologici e ingegneristici, ti ho invitato a approfondire la tematica.

Caro Max, l’avevo commentato perché ero assolutamente d’accordo con te. L’articolo dell’Espresso, rivolto al grande pubblico, risulta ingannevole per il non addetto ai lavori perché vengono mescolate considerazioni ragionevoli a clamorose inesattezze. Il giornalista si basa su di un’intervista a un geofisico, la figura professionale più credibile per studiare i fenomeni fisici del nostro pianeta: tuttavia, quando poi si passa agli effetti di tali fenomeni sulle costruzioni, il geofisico diventa, come lo sarebbe un medico o un letterato, un incompetente, perché si “entra” nei temi dell’ingegneria strutturale e, in particolare, di quella antisismica. Temi che non fanno parte degli studi e delle esperienze di geologi, fisici, medici e letterati (tra i tanti).

Le mappe, o meglio I modelli, di pericolosità sismica vengono compilati – nella maggior parte delle nazioni e anche dei progetti internazionali – secondo un approccio probabilistico, poiché questo viene “richiesto” dagli utilizzatori dei modelli stessi, ovvero dagli ingegneri progettisti. Ci puoi spiegare perché?

La progettazione strutturale e antisismica è, in tutto il mondo evoluto, basata su concetti probabilistici, anche per quanto concerne le azioni, incluse quelle sismiche. E questo approccio non è in discussione nella comunità mondiale dell’ingegneria strutturale (e antisismica). Il motivo, che spesso sfugge a chi non è del mestiere, è che la progettazione strutturale è dominata dalle incertezze: incertezze nella definizione delle azioni, sui modelli utilizzati, sulle resistenze dei materiali. Per tale motivo, la progettazione strutturale è convenzionale: nessuno al mondo pensa che nei solai di abitazione ci sia un carico variabile uniformemente distribuito pari a 2 kN/mq, che sarebbe a dire che in ogni stanza della casa c’è un allagamento con l’acqua alta 20 cm. Tuttavia, praticamente tutte le case del mondo sono progettate secondo questo tipo di ipotesi, per la quale gli effetti dei carichi che possono realmente interessare gli ambienti di una casa sono probabilisticamente minori di quelli corrispondenti a quella specie di “piscina” di cui parlavo prima. L’approccio probabilistico cerca di coniugare accuratezza e fattibilità operativa: in alternativa, ad esempio, un progettista dovrebbe prevedere, nell’ambito di un soggiorno, quale possa mai essere la disposizione dell’arredo e la posizione degli occupanti, eseguire i calcoli e imporre di non spostare divani, tavoli e pianoforte e di sedersi sempre tutti allo stesso posto. Sarebbe la “maximum credible furniture position”, concetto analogo a quello di “maximum credible earthquake” descritto nell’articolo dell’Espresso. In entrambi i casi, inutilizzabile per l’ingegneria antisismica: ti assicuro che prima o poi il pianoforte lo spostano e che il prossimo terremoto che arriva in un’area avrà caratteristiche che ai fini della sicurezza delle costruzioni saranno differenti da quelle previste: occorre progettare senza avere la presunzione di “sapere tutto”, ma gestendo “probabilisticamente” le incertezze.

Uno degli argomenti più usati – strumentalmente – per attaccare modelli di pericolosità e normativa sismica basata su di essi è l’avvenuto superamento dei valori di progetto in occasione di terremoti recenti. Premesso che, a parte gli svarioni che vengono commessi nell’effettuare questi confronti,  i valori adottati per la progettazione sono “superabili” per definizione se si accetta un x% di probabilità di superamento in x anni, l’idea che viene trasmessa al pubblico è che se le azioni sismiche superano quelle di progetto la costruzione crolla. E’ così?

In generale non è così. Come dicevamo prima, l’approccio attuale dell’ingegneria antisismica mondiale è fondato su basi probabilistiche. Questo significa che l’impostazione normativa prevede esplicitamente che non sia nota, ad esempio, l’entità dell’azione sismica (ovviamente in un certo, ragionevole intervallo). Per esemplificare, se la PGA di progetto allo Stato Limite Ultimo (SLU) è, per un dato sito, pari a 0,27g, puoi star sicuro che un edificio correttamente progettato avrà il comportamento previsto anche per valori superiori della PGA. Naturalmente, se impattiamo un asteroide e il moto del suolo arriva a punte di accelerazione molto maggiori, ad esempio 10 volte maggiori, questo discorso non vale più. Ma per una data area, l’attuale impostazione progettuale tiene in considerazione il fatto che le azioni possano essere ragionevolmente superiori a quelle di progetto senza che la sicurezza della costruzione ne risenta significativamente. A tale risultato si perviene per due strade principali.
La prima concerne i coefficienti di sicurezza (parziali) previsti dalle norme vigenti, che riguardano le azioni, le resistenze e i modelli di valutazione. La questione è un po’ sottile, per addetti ai lavori: i coefficienti parziali sono parzialmente esplicitati nelle norme, ma sono spesso invisibili ai “non specialisti” e pertanto applicati spesso senza che progettisti ed esecutori ne abbiano esatta contezza. Semplificando in maniera estrema, e perdendo quindi in rigore scientifico, posso dirti che l’effetto globale dei coefficienti parziali (espliciti e nascosti) comporta per una costruzione in calcestruzzo armato un margine di sicurezza compreso tra 2,5 e 3, che aumenta nel caso di meccanismi di rottura fragile (di nuovo, roba da super-specialisti). Questo significa che azioni, modelli e resistenze previste in progetto possono essere sbagliati – complessivamente – fino al 150-200% prima di causare un crollo. Può sembrare tanto, ma al momento in tutto il mondo questa è più o meno la riserva di resistenza che viene ritenuta necessaria.
La seconda è il concetto di duttilità. Secondo le attuali norme di progettazione e di esecuzione, gli organismi strutturali sono in grado di resistere ad azioni maggiori di quelle previste in progetto utilizzando meccanismi di duttilità e di dissipazione energetica e purché non insorgano meccanismi di rottura fragile (accuratamente evitati mediante l’applicazione di coefficienti parziali di modello e del concetto di “gerarchia delle resistenze”). Aggiungo, inoltre, che le costruzioni moderne dispongono di “riserve di resistenza” aggiuntive delle quali non si tiene conto nella progettazione, ma che comunque esistono.
Per quanto detto, quindi, la tesi che accelerazioni sismiche effettive alla base superiori a quelle convenzionali di progetto (di quanto: 10, 20, 50%?) siano in qualche modo un problema che riguarda la sicurezza delle costruzioni è priva di qualsiasi riscontro nel mondo dell’ingegneria antisismica.

Anche senza tirare in ballo probabilità di superamento, argomento sempre ostico e scivoloso ad ogni semplificazione, si può dire che il modello di pericolosità ha fornito alcuni “terremoti” di riferimento di entità crescente, per ogni località Italiana. Le NTC hanno deciso di usare (per civile abitazione) due di questi, richiedendo ai progettisti di superarne uno senza danni e l’altro senza crolli.  Alla luce delle esperienze degli ultimi anni, ritieni ancora questa assegnazione la migliore (per lo Stato e per il proprietario) o c’è spazio per un passaggio dall’approccio “salva vite” a quello “limitazione del danno”, per avere in futuro crateri ancora più piccoli e meno danneggiati?”

Caro Max, devo dire che ancora una volta siamo “fuori fuoco”. Le vite perdute e i danni occorsi durante i terremoti italiani delle ultime decadi sono dovuti a due diversi fattori, tra i quali certamente non c’è la scelta operata in sede di NTC. Il primo è che morti e danni hanno riguardato costruzioni precedenti all’attuale assetto normativo. Sotto questo profilo è fuorviante associare i danni e le tragedie che osserviamo al telegiornale con l’attuale norma tecnica. Il secondo è che morti e danni hanno riguardato molto spesso costruzioni malamente manipolate e per questo indebolite nei riguardi della sicurezza strutturale e antisismica (ricordi la “casa dello studente” di L’Aquila? O le foto di Amatrice con le murature portanti “tagliate” in corrispondenza di improbabili soppalchi?). Ovviamente, tutto è migliorabile, anche le mappe di pericolosità e l’uso che se ne fa nell’ingegneria antisismica: tuttavia, questi aspetti oggi sono molto meno importanti del dramma di avere in tutto il Paese una maggioranza di costruzioni irrispettose di qualsiasi criterio antisismico anche minimo.

A volte, perdonami la franchezza, mi sembra che il dibattito scada nel paradossale osservando che una diversa modellazione delle azioni sismiche porta a oscillare il rapporto tra capacità e domanda (ossia il livello di sicurezza antisismica) tra 0,9 e 1,1 mentre la stragrande maggioranza delle costruzioni italiane delle zone sismiche 1 e 2, ivi incluse scuole, tribunali, edifici sportivi e case, ha valori prossimi a 0,3, offrendo quindi una sicurezza strutturale pari a circa un terzo di quella che viene richiesta oggi alle nuove costruzioni!

Biografia: Antonio Occhiuzzi è professore di Tecnica delle Costruzioni presso l’Università Parthenope. È laureato in ingegneria a Napoli e al MIT di Boston, ha un dottorato di ricerca in ingegneria delle strutture, materia cui si dedica da sempre.
Dal 2014 dirige l’Istituto per le Tecnologie della Costruzione (ITC), ossia la struttura del CNR che si occupa di costruzioni, con sedi a Milano, Padova, L’Aquila, Bari e Napoli. Dal 2017 fa parte del Comitato Scientifico della Fondazione EUCENTRE.

Fonte immagine: www.blueplanetheart.it

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